Quella della moda è un’industria in crescita che genera a livello mondiale 2.400 miliardi di dollari, dando lavoro a 70 milioni di persone, principalmente donne.

Ma è responsabile del 10% delle emissioni a effetto serra, del 20% dell’inquinamento delle acque, del 24% degli insetticidi, dell’11% dei pesticidi, oltre a 500 miliardi di dollari all’anno persi per insufficiente riciclo e sottoutilizzazione dei prodotti.

Inoltre, secondo più grande consumatore di acqua per uso industriale, è responsabile del rilascio di milioni di tonnellate di microfibre sintetiche negli oceani.

Lo denuncia l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), che all’ultima Assemblea sull’Ambiente tenutasi a Nairobi, in Kenya, ha lanciato la UN Alliance for Sustainable Fashion.

La nuova Alleanza – si legge in una nota stampa – vuole promuovere una maggiore collaborazione tra le diverse agenzie ONU per unire gli sforzi verso lo sviluppo di una moda sostenibile, identificando suluzioni e sensibilizzando i governi alla causa.

Tra i partner dell’iniziativa vi sono The Food and Agricultural Organization (FAO), che ha dato vita al progetto Blue Fashion, l’International Trade Canter (ITC) con la Ethical Fashion Initiative, UN Environment con le sue iniziative di politica istituzionale.

“Data la sua portata globale – spiegano gli esperti ONU – pratiche insostenibili all’interno della filiera hanno un impatto importante sugli indicatori di sviluppo sociale e ambientale. Senza un cambiamento radicale dei processi produttivi e dei comportamenti di consumo, i suoi costi sociali e ambientali sono destinati a crescere”.

Tra gli obiettivi della UN Fashion Alliance: promuovere una collaborazione attiva tra tutti gli stakeholder, la condivisione di conoscenze, il consolidamento di sinergie, la comunicazione e l’advoacy su governi, ONG, enti e aziende.

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