Come introdurre l’ipnosi in azienda per sciogliere le resistenze e accelerare il cambiamento

D’accordo, siamo tutti un po’ stressati. E come non esserlo, oggi? Chi non ha lavoro ha i suoi problemi e chi il lavoro ce l’ha… forse ne ha ancora di più, di problemi. Nessuno è immune dallo Zeitgeist, lo “spirito del tempo”, nemmeno la Generazione Z dei giovanissimi che hanno intorno ai ventanni, che non sanno che pesci pigliare e confessano di “non godere di buona salute mentale”, come ha denunciato qualche settimana fa l’American Psychological Association nel nuovo rapporto “Stress in America” [1].

Ma che 8 lavoratori americani su 10 dichiarino di essere al limite della sopportazione in ufficio e il 42% arrivi addirittura, a causa dello stress lavorativo, a lasciare una buona posizione (anche una zattera oggi è tanto preziosa nel mare agitato della crisi economica che non riusciamo a lasciarci alle spalle), vuol dire che qualcosa non va proprio a livello di sistema. Infatti, secondo una recente indagine [2], più del 66% delle aziende USA non fa niente per tentare di alleviare lo stress nei luoghi di lavoro. Perché?

Forse perché pensare di prendersi cura di tutte le variabili, umane e non, che interagiscono in un ambiente di lavoro allo scopo di armonizzare i processi, migliorare l’efficienza aziendale, aumentare i fatturati e ridurre i costi, sarebbe la favola in cui “tutti vissero felici e contenti”. Non entrano in gioco infatti soltanto competenze e capacità, ma attitudini, personalità, percezioni, emozioni, motivazioni, convinzioni, valori… Sul versante della cultura organizzativa, poi, rituali e cerimonie, storie e leggende, lingue e “dialetti”, metafisiche implicite e assunzioni condivise hanno la loro importanza nello strutturare lo scenario nel quale gli attori si trovano a performare lo spettacolo quotidiano.

L’interazione tra umani, seppure in un contesto normato come quello di un’azienda, fa esplodere complessità difficilmente controllabili a tavolino e gli equilibri funzionali restano obiettivi da perseguirsi giorno per giorno. Da decenni la psicologia e le scienze comportamentali sfornano modelli su modelli (gerarchici, a rete, organici, cross-funzionali, virtuali e chi più ne ha più ne metta), ma i modelli che arrivano dall’esterno – ormai dovremmo averlo capito – sono vestiti tanto allettanti quanto proibitivi, non ultimo perché siamo sempre noi a doverci adattare a quei vestiti, non il contrario. E questo aggiunge difficoltà a una situazione già difficile di suo, rischiando di creare ulteriori forzature, resistenze, frustrazioni, invece di agevolare il cambiamento atteso.

Ora l’approccio “ipnotico” lavora esattamente all’opposto. Inizia ricalcando l’esistente, entrando nel mondo dell’altro, rispecchiandone la “fisiologia”, per mettersi a disposizione su quella particolare personale “frequenza” e favorire la crescita dei driver naturali di cambiamento, nel contesto “terapeuticamente orientato” dei termini dell’incarico. Allora ecco che l’ipnosi cosituisce un approccio strategico, non semplicemente una “tecnica per alleviare lo stress” o migliorare le prestazioni individuali (che già sarebbe tanto di guadagnato, in mancanza d’altro).

Come spiego nel mio ultimo libro, “Ipnosi in pillole” [3], l’ipnosi è la modalità naturale più efficace di espansione delle capacità umane per facilitare il ripristino e l’auto-regolazione delle funzioni neuro-psico-fisiologiche dell’organismo. In altre parole, lavora in via preferenziale con l’inconscio come un enzima di accelerazione dei processi interni di autoguarigione e miglioramento. È per questo che funziona benissimo per problematiche come lo stress, l’ansia, la depressione, i disturbi psicosomatici – solo per fare qualche esempio – e in particolar modo nel miglioramento delle performance sportive e lavorative, nel miglioramento dei processi decisionali e creativi, ma anche nel contesto della comunicazione e delle relazioni professionali.

Nel delicato ecosistema del lavoro, l’ipnosi e l’autoipnosi risultano dunque metodologie operative proficue e convenienti: in prima battuta nella gestione dello stress e nella riduzione dell’ansia, con conseguente miglioramento delle prestazioni cognitive come memoria, attenzione, lucidità di analisi delle situazioni complesse. Inoltre possono fornire aiuto decisivo anche nel frangente del miglioramento dell’efficienza delle comunicazioni dei team di lavoro, nella risoluzione dei conflitti e nella traduzione nella pratica – finalmente – di quella benedetta “intelligenza emotiva” che ci mette in grado di andare oltre gli elementi “razionali” del classico calcolo costi benefici, per considerare allo stesso modo anche le componenti meno visibili, che di solito escludiamo di default per educazione, per abitudine ecc. dalle nostre valutazioni “logiche”, quelle componenti che però, in realtà, rappresentano la parte strutturante di ogni attività fondata sul rapporto umano, come l’organizzazione aziendale per l’appunto.

Non per niente il padre delle neuroscienze contemporanee e premio Nobel, Eric Kandel, oggi professore emerito alla Columbia University di New York, afferma senza mezzi termini che “il controllo delle nostre azioni è prevalentemente inconscio” [4]. E l’ipnosi è la via maestra per lavorare con l’inconscio, in modo che tra processi razionali e processi profondi non vi sia alcun conflitto ed entrambi tirino dalla stessa parte, consentendoci da un lato di prendere decisioni fondate su basi solide, autenticamente “nostre”, dall’altro di riuscire a mettere in atto e mantenere i nostri propositi nel tempo, cosa di particolare importanza e difficoltà, come ben sa chi decide solo a tavolino di perdere peso o “eliminare il caffè e le sigarette” [5].

Ma come funzionano ipnosi e autoipnosi? Intanto, tutta l’ipnosi è autoipnosi. Questo perché, in sostanza, il clinico abilitato (in Italia medici e psicologi specializzati in psicoterapia ipnotica) si pone semplicemente come una sorta di trainer che, con suggerimenti verbali appropriati, aiuta l’altra persona a entrare in uno stato modificato di coscienza in cui avrà maggiore consapevolezza corporea delle cose, una consapevolezza più ampia e capillare, non filtrata dagli schemi rigidi della coscienza. E ciascuno ha la propria “frequenza” particolare in ipnosi, la propria dimensione, che quando ritrova non scorda mai più e può riattivare al bisogno o quotidianamente, a suo beneficio. Come quando impariamo ad andare in bicicletta senza le rotelline di sostegno: è un equilibrio corporeo che alla fine troviamo da soli e una volta appreso via esperienza resta nostro per sempre.

Da un punto di vista neurofisiologico, in ipnosi avvengono modifiche molto vantaggiose, sia a livello di sistema nervoso che di tutto l’organismo. Come ho spiegato recentemente a “La Voce di New York” in un’intervista [6], la riduzione in stato di ipnosi dell’inibizione operata ordinariamente dalle regioni frontali dell’emisfero sinistro ci fa passare dal suonare in un’orchestra classica, con un direttore che segue la solita partitura, a un complesso jazz, in cui la melodia si viene creando man mano, con il contributo individuale di ogni singolo elemento valorizzato in un processo espressivo dal basso verso l’altro che ci rende capaci di esplorare alternative creative impensabili nello stato ordinario di coscienza. Allo stesso tempo, i ritmi fisiologici, dal respiro, alle pulsazioni, al rilascio di ormoni, si regolarizzano, con un recupero di energie che è come dire ricaricare le batterie quando ce n’è bisogno. È importante sapere infine che in stato di ipnosi il corpo rilascia oppioidi endogeni, endorfine, encefaline, anandamide e altre molecole “buone” con poteri antidolorifici, ansiolitici e antidepressivi, che sono i nostri farmaci naturali [7].

Chi familiarizza con lo stato ipnotico poi diventa sempre più capace di comprendere anche le minime sfumature del comportamento proprio e altrui, divenendo così molto esperto nel leggere a colpo d’occhio non solo la “lettera” ma anche lo “spirito” delle comunicazioni che quotidianamente scambiamo tra esseri umani, non tanto per manipolare gli altri (cosa impossibile con l’ipnosi, basata su una collaborazione rispettosa tra le persone), ma di favorire uno scambio autentico, orientato a una cooperazione più efficace e vantaggiosa, per sé e per l’organizzazione intera.

Il tempo è prezioso e gli errori costano. In questo ambito, un intervento da parte di un esperto di ipnosi in azienda rappresenta un’opportunità di miglioramento per tutti, non solo a livello individuale, come abbiamo visto, ma anche e soprattutto a livello degli stessi processi organizzativi, che possono essere perfezionati a partire dai team di lavoro fino a coinvolgere l’intero sistema aperto composto da tutti gli stakeholder aziendali, in una ridefinizione e consolidamento di una “corporate culture” che può rispondere prontamente alle nuove sfide della sostenibilità, dell’etica di impresa, dell’urgenza di passare da una economia lineare a una economia circolare che può salvare il pianeta.

Lavorare sul “fattore umano” con i metodi innovativi delle neuroscienze cognitive e comportamentali in grado di accelerare i processi evolutivi delle persone aiuta infatti le aziende a migliorare i processi decisionali e produttivi, a ridurre stress e conflitti, a potenziare la produttività dei team di lavoro, a migliorare la comunicazione essenziale tra reparti, fornitori, distributori, clienti, collaboratori; insomma, a sciogliere le resistenze e accelerare un cambiamento ormai improcrastinabile.

Chi saprà muoversi come una startup, introducendo nella propria cultura driver di innovazione come agilità, collaborazione autentica, apertura mentale, nuovi modi di lavorare, nuove forme di partnership, nuovi modelli di investimento, adattando le strutture e le prassi organizzative alle caratteristiche dei team che lavorano in network, riuscirà ad acquisire la flessibilità e la velocità necessarie per rispondere adeguatamente alle nuove domande dei mercati. E – a nostro avviso – l’ipnosi è la via maestra per aiutare ciascuno a trovare la propria strada in questa sfida epocale.

Marco Mozzoni

Note

  1. AAVV, “Gen Z, generazione sotto stress”, BrainFactor, 16/11/2018
  2. Steven L. McShane, Mary Ann Von Glinow, “Organizational Behavior”, 8th Edition, McGraw-Hill Education, 2018
  3. Marco Mozzoni, “Ipnosi in pillole”, Armando Editore, 2018
  4. Eric Kandel et al., “Principi di Neuroscienze”, CEA Casa Editrice Ambrosiana, 2014
  5. CCCP, “Io sto bene”, da “CCCP Fedeli alla linea”, 1986
  6. Francesco Margoni, “The Truth About Hypnosis and Its Effects: an Interview with Marco Mozzoni”, La Voce di New York, Sept 13, 2018
  7. Gary Elkins et al., “Handbook of Medical and Psychological Hypnosis. Foundations, Applications and Professional Issues”, Springer, 2016

Marco Mozzoni svolge consulenza aziendale applicando metodi innovativi delle neuroscienze organizzative per gestire lo stress e i conflitti, sciogliere le resistenze e accelerare il cambiamento, potenziare le performance dei team di lavoro, migliorare i processi decisionali e operativi. Neuropsicologo e psicoterapeuta specializzato in ipnosi clinica, già professore di comunicazione all’Università di Milano-Bicocca e consulente scientifico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca della Repubblica Italiana, è affiliato alla American Psychological Association (APA), alla British Society of Clinical and Academic Hypnosis (BSCAH), alla Società Italiana di Neuropsicologia (SINP), alla Società Italiana di Ipnosi. Ha pubblicato diversi libri e studi in campo neuropsicologico su temi di interesse clinico e professionale, tra cui “Ipnosi in pillole” (Armando Editore, 2018) e “Alzheimer. Come diagnosticarlo precocemente con le Reti Neurali Artificiali” (Franco Angeli Editore, 2010).

Image credits: Africa Studio. Business people working in conference room. Shutterstock.com

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